Il riscatto sociale dell’istruzione penitenziaria
Pubblicato il 4 Marzo 2022
Il diritto all’istruzione, così come viene sancito dall’art. 34 della nostra Carta Costituzionale, svolge un ruolo centrale nella promozione della dignità della persona anche all’interno degli istituti penitenziari in quanto rappresenta uno dei deterrenti più potenti ai fini della riabilitazione sociale.
L’istruzione obbligatoria in carcere: dalla legge di riforma 354/1975 al D.P.R. 230/2000
La regolamentazione dell’istruzione in carcere in Italia si ebbe già a partire da fine Ottocento, con un Regolamento del 1891 in cui veniva posta l’enfasi sul fatto che il carcere non fosse solo il luogo di espiazione della pena, ma anche un luogo di rieducazione. Con l’avvento del Fascismo questa umanizzazione del carcere viene meno in quanto potevano accedere all’istruzione solo le persone libere. È nel 1958 che però si sancisce la nascita ufficiale della scuola in carcere, con la legge del 3 aprile n. 503. Prima del 1975, anno in cui vi fu la riforma dell’Ordinamento Penitenziario, i corsi scolastici e le attività che si svolgevano all’interno degli istituti penitenziari servivano al detenuto per tenersi occupati e rompere l’isolamento.
Con la riforma del 1975, invece, viene posta maggiore attenzione all’aspetto rieducativo. L’impostazione culturale che ha ispirato il testo dell’Ordinamento Penitenziario, è quella di ritenere la detenzione non uno stato definitivo, ma uno stato transitorio, un momento in cui il detenuto ha la possibilità di crescere sia a livello personale, sia nei confronti della società. La legge penitenziaria italiana n. 354 intitolata “Norma sull’ordinamento penitenziaria e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”, è stata approvata nel 1975 e l’anno successivo è stato emanato il relativo Regolamento di esecuzione.
Le attività di istruzione
Per quanto concerne le attività di istruzione, queste sono disciplinate dalla legge del 1975 all’art. 19. Il legislatore, con l’emanazione della suddetta legge, afferma che i corsi di scuola dell’obbligo che si tengono in carcere devono uniformarsi perfettamente a quelli svolti all’esterno per dare la possibilità al detenuto, una volta espiata la pena, di proseguire la propria formazione scolastica. Pone, inoltre, un’attenzione particolare su una specifica fascia della popolazione penitenziaria che va dai 18 ai 25 anni, detta dei “giovani adulti” in quanto per loro l’istruzione rappresenta un ottimo deterrente di riscatto sociale, Un cambio di visione importante del regime trattamentale lo abbiamo con il D.P.R. n. 230/2000.
L’articolo più significativo del Regolamento è l’art. 40 che prevede la possibilità di autorizzare il detenuto a tenere nella propria cella strumenti quali computer, lettori di nastri e cd portatili a lui necessari per fini di lavoro o studio. Con tale disposizione è stata palesata una nuova concezione dell’istruzione e cioè un’istruzione libera, degna di essere facilitata in tutte le possibili forme, compatibilmente alle esigenze di sicurezza imposte dall’ambiente carcerario.
La figura del docente in carcere
La nascita ufficiale dell’istruzione all’interno degli istituti penitenziari si ha nel 1958 con la legge n. 503. Nello stesso anno, la legge n. 535 prevedeva la nomina degli insegnanti di scuola elementare in carcere per i quali era previsto un ruolo transitorio al quale si poteva accedere solo tramite concorso e con l’obbligo di rimanere nella sede per cinque anni al termine di quali si poteva chiedere il trasferimento nella scuola pubblica. Il ruolo dell’insegnante veniva ricoperto dai precari nell’attesa di essere chiamati stabilmente a ricoprire un ruolo nella scuola pubblica. La condizione psicologica degli insegnanti non doveva essere delle migliori, sia per il fatto che gli studenti detenuti avessero una scarsa abitudine allo studio, sia per le difficili condizioni in cui versava l’ambiente in cui questi erano costretti a studiare.
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Carcere: benessere psicofisico dei detenuti
Con l’avvento degli anni Sessanta viene posta maggiore attenzione sull’importanza della pedagogia nella visione del sistema penale non più concepito nell’ottica repressiva, ma finalizzato alla prevenzione. I ruoli transitori furono soppressi definitivamente con la legge 72/1963 con l’istituzione di un nuovo ruolo denominato “Ruolo speciale per l’insegnamento nelle scuole elementari presso le carceri e gli stabilimenti penitenziari”. Attualmente, negli istituti penitenziari per adulti, le attività scolastiche sono curate dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), che ha la competenza istituzionale sia per quanto attiene l’attuazione dei corsi all’interno delle strutture carcerarie sia per quel che concerne l’assegnazione del personale docente, in accordo con le esigenze formative prospettate dai Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria (PRAP). A seguito dell’emanazione del D.M. del 25 ottobre 2007, i Centri Territoriali Permanenti, istituiti con l’O.M. 455/97, sono stati sono stati trasformati in Centri provinciali per l’Istruzione degli adulti (CPIA).
Insegnare “dentro”
Per i docenti insegnare “dentro” rappresenta un’esperienza travolgente, sia sul piano strettamente professionale, sia per le lezioni di vita che si possono ricavare dal contatto con un detenuto. L’insegnante che entra in carcere acquisisce con il tempo il valore intrinseco del suo operare, che non è soltanto trasmettere allo studente detenuto delle conoscenze, ma far venire fuori da questo potenzialità latenti, soppresse e molto spesso mai coltivate. Farsi riconoscere nel ruolo di insegnante in carcere non è automatico, anzi spesso il docente è screditato dai detenuti sulla base delle loro pessime esperienze scolastiche pregresse, durante le quali sono stati emarginati dalla scuola tanto da dover imparare nuovamente a fidarsi degli insegnanti.
Università e carcere
Le università entrano a far parte del panorama penitenziario negli anni Sessanta grazie all’attività di volontariato di alcuni professori dell’Università di Padova per studenti detenuti iscritti alla Facoltà di Ingegneria civile. La sinergia tra amministrazione penitenziaria e università ha portato all’istituzione dei Poli Università Penitenziari (PUP), delle vere e proprie sezioni universitarie interne al carcere definite dal Tavolo 9 degli Stati generali dell’Esecuzione Penale come: “un sistema di servizi e opportunità offerti dall’Università, con la disponibilità dell’Amministrazione penitenziaria, ulteriori o sostitutivi rispetto a quelli normalmente fruibili dagli studenti, proposto in modo strutturale e organizzato sulla base di apposite convenzioni, volto a superare gli ostacoli che obiettivamente si frappongono ad un effettivo esercizio del diritto allo studio universitario da parte di chi è in esecuzione penale”.
Riferimenti bibliografici e sitografia
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