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Stiamo Freschi 1 – La legge “Smuraglia”


Pubblicato il 27 Novembre 2023

Se nel 1948 l’articolo 27 della Costituzione sancisce che la pena detentiva deve tendere alla rieducazione del condannato, è la legge 354 del 1975, art.15 a specificare che il lavoro è parte integrante del processo di rieducazione, e che alla persona detenuta “è assicurato il lavoro”.

L’articolo 20 della stessa legge specifica poi le caratteristiche del lavoro svolto dalla persona ristretta: “Il lavoro non ha carattere afflittivo ed è remunerato” e “L’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale.” Come ogni norma quadro, vi erano stati dei riferimenti precedenti:  all’art.2 del decreto legge 124/2018 “Modifica alle norme sull’ordinamento penitenziario in tema di lavoro penitenziario”, poi,  il lavoro delle persone in carcere è  infine esplicitamente equiparato a quello di qualunque altro lavoratore. Dunque l’attività lavorativa in carcere non è obbligatoria, non ha carattere afflittivo, ma esclusivamente rieducativo, e il lavoratore detenuto gode di tutte le tutele previste per i lavoratori.

Giungiamo, dopo un primo richiamo in avvio di queste righe alla legge 193/2000 –  la cosiddetta legge Smuraglia appunto,  nella quale ( e qui il punto qualificante) si istituisce  – a favore dei  fragili lavoratori detenuti –  un regime fiscale e contributivo agevolato per i datori di lavoro esterni.

  •  L’articolo 3 prevede anche sgravi fiscali, estesi a un periodo dopo il termine della detenzione del lavoratore, per le aziende che garantiscano contratti non inferiori ai 30 giorni.
  • All’art.5 della stessa legge  prevede che per lavorare o per assumere incarico socio presso le cooperative sociali “non si applicano incapacità derivanti da condanne penali o civili”. 

Le cooperative sociali  poi non sono soggette alle “aliquote complessive della contribuzione per l’assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale”, mentre le aziende pubbliche o private che organizzano attività produttive o di servizi ne pagano solo una percentuale. In questo modo si intendeva rendere “conveniente” per il datore di lavoro assumere lavoratori detenuti. Il minor costo del lavoro avrebbe dovuto incentivare le assunzioni o quanto meno i progetti formativi propedeutici all’assunzione. 

A voler tracciare un bilancio, ahinoi, i risultati  sono deludenti: per stare nel nostro contesto regionale, se consideriamo che oggi, secondo il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, su 2.042 lavoranti nelle carceri in Lombardia, solo 136 sono occupati in attività esterne con datori di lavoro diversi dalla amministrazione penitenziaria. Molte e diverse potrebbero essere le ragioni per cui questa legge si rivela, oggi, poco efficace: non sempre le strutture penitenziarie dispongono di spazi dove attrezzare officine e laboratori; l’alta mobilità dei detenuti, soprattutto nelle case circondariali, rende difficili prestazioni di lavoro continuative, o la frequenza di corsi professionalizzanti. 

Non da ultimo, la mancata conoscenza di questa opportunità da parte dei datori di lavoro ne rende difficile l’applicazione. Il basso livello di competenze di molti ristretti è un altro ostacolo sia alla partecipazione ad eventuali attività lavorative esterne, sia a corsi di formazione professionalizzanti.

È proprio all’interno di questa criticità –  tra le competenze necessarie e l’organizzazione di corsi di formazione e attività lavorative esterne – che i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) devono poter intervenire. Il loro ruolo è di elevare al massimo possibile i livelli di competenza, sia nell’ambito linguistico che in quello scientifico-tecnologico, fornendo così ai detenuti reali opportunità sia di continuare la formazione, spesso interrotta a causa della detenzione, sia di trovare un impiego , che costituisce l’unica vera garanzia di un efficace reinserimento sociale delle persone detenute.

Alfonsa Gucciardo – Cpia 2 Varese

 

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